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A chi vanno le stelle d’oro per la cura della vostra privacy?

Oltre ad essere società di tecnologia, cosa hanno in comune Adobe, Dropbox, Lyft, Pinterest, Sonic, Uber, Wickr e WordPress?

La risposta è che l’Electronic Frontier Foundation (EFF), l’organizzazione internazionale non profit di avvocati e legali che si occupa della tutela dei diritti digitali, ha attribuito a tutti loro il massimo della valutazione, le cinque stelle, per l’aver rivelato, documentato e, in alcuni casi, aver resistito ai tentativi governativi di accesso ai crescenti volumi di dati che detengono sulle loro centinaia di milioni di utenti.

Le aziende premiate con solo quattro stelle a fronte dei cinque criteri misurati includono Google, Apple, Facebook, LinkedIn, Microsoft e Yahoo. Al di sotto di questo numero entriamo in un mondo di aziende inferiori con minori voti sulle quali gli utenti dovrebbero, presumibilmente, iniziare a porsi delle domande.

Chiunque desideri maggiori dettagli sui criteri può studiare la spiegazione dell’EFF, ma l’esercizio può essere meglio riassunto nel titolo del rapporto “Who has your back?” (Chi ti guarda le spalle?). Per essere chiari, queste sono tutte misure di politica e di pratica dichiarate pubblicamente, non si tratta di tecnologia.

La categoria più interessante (una nuova aggiunta) è quella in cui le aziende “promettono di non vendere gli utenti”: in altre parole, di non cedere i dati degli utenti alle agenzie di intelligence o a terzi che utilizzano un qualche tipo di canale secondario segreto.

Questo ci porta al nocciolo del report – e cioè al fatto che le aziende stanno svendendo i dati, probabilmente senza che qualcuno tranne l’EFF se ne stia accorgendo.

I cattivi sono ovviamente le aziende di telecomunicazioni – Verizon, Comcast, T-Mobile e AT & T – che hanno vinto una stella ridicola. Questo perché:

Quando si tratta di adottare politiche che privilegiano la privacy degli utenti a fronte delle richieste governative l’industria delle telecomunicazioni ha perlopiù sbagliato dando la priorità ai governi.

Si tratta di un punto importante perché ogni utente ha bisogno di un provider di telecomunicazioni per connettersi a Internet. Il fatto che esso sia accomodante di fronte alla sorveglianza ufficiale è molto più grave rispetto al fatto che le aziende come Adobe e Dropbox non lo siano.

Più sorprendenti le due stelle di WhatsApp, che è stata al centro del processo di crittografia che ha reso difficile la vita a quelle strutture governative che intendevano intercettare le chat degli utenti. Perché? Purtroppo le sue politiche di condivisione dei dati sono vaghe e, curiosamente, lo sono più di quelle della sua società madre di Facebook.

E come ha fatto invece Uber a guadagnare cinque stelle? Molto probabilmente perché il report misura i comportamenti nell’ultimo anno, un periodo in cui, nonostante le numerose controversie, Uber ha effettivamente rafforzato le impostazioni e le politiche di privacy.

Un’apparente debolezza del rapporto dell’EFF è la sua predilezione verso gli Stati Uniti. In passato, questo avrebbe potuto essere visto come positivo perché si supponeva che gli Stati Uniti avessero messo in atto le migliori forme di protezione e che il governo fosse interessato alla privacy.

Oggi non è più così, anzi è sorprendente che i due paesi che illuminano la mappa globale delle richieste di informazioni siano gli Stati Uniti e il Regno Unito; entrambi si sono opposti alla presunzione di privacy negli ultimi cinque anni.

Le discussioni si accendono l’argomento è il fatto se tale intrusione sia giustificata da minacce come il terrorismo. I governi democratici dipendono dal consenso e l’opinione pubblica può cambiare rapidamente. Forse ciò che conta maggiormente è semplicemente il fatto che ciò che sta accadendo venga notato e documentato da qualcuno.

 

  • tratto dall’articolo “Who gets gold stars for looking after your privacy?” di John E Dunn, dal blog Naked Security

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